Piovesse Sempre Così

Il nuovo album di Giua

Arrangiato da Paolo Silvestri, con cui Giua ha lavorato in questi anni come musicista e interprete nello spettacolo “Quello che non ho” con Neri Marcorè, PIOVESSE SEMPRE COSÌ mette al centro l’intreccio di voci e chitarre che ha caratterizzato il lavoro con Marcorè assieme ai due chitarristi e polistrumentisti Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. A dare un carattere rock a questo lavoro, la scelta delle chitarre elettriche e acustiche, la batteria di Rodolfo Cervetto e il basso di Pietro Martinelli. Tanti ospiti meravigliosi, il violoncellista Jaques Morelenbaum, ponte tra il cuore e il Sudamerica; Carla Signoris che trasforma “Feng shui” in una canzone post moderna sospesa tra horror e nonsense; Paolo Silvestri che col suo pianoforte ci guida tra meraviglia e giocosità; Lisa Galantini che ci porta in giro tra i nostri pensieri rumorosi in “Cosa penserà la gente”. Tanti anche gli autori con cui Giua ha scritto: Zibba, Pacifico, Emilio Munda, Mario Cianchi, Gianluca Martinelli, Carlo Fava e Stefano Della Casa. Per scoprire le date del tour seguiteci sui social!

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Uragano

(testo e musica: M.P. Giua, Zibba)

vorrei essere per te un uragano
dentro a tutte le tue idee, mandarle lontano
vorrei essere per te quello che sono
dirti prendi tutto che andiamo

Il disco si apre così, con questa canzone, solo voce all’inizio, poi a poco a poco si aggiunge la chitarra. La canzone con cui Giua firma il disco, un inno all’amore e all’amicizia, alla comprensione della vita in tutti i suoi aspetti, coi suoi contrasti, le paure e tutta la bellezza verso cui andare con fiducia.

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Cosa penserà la gente

(testo: M.P. Giua, M. Cianchi; musica: M.P. Giua)

cosa penserà la gente
del voto che hai buttato per un ideale
di quella che volta che sarebbe stato meglio
dove come quando cambio

Una canzone “metropolitana”, con echi gaberiani, in cui esplodono gli arrangiamenti di Paolo Silvestri che miscela quasi tutti gli ingredienti del disco, le chitarre acustiche ed elettriche, i cori, i fiati, il basso e una batteria asciutta, quasi a raccogliere il rumore dei pensieri colti per strada, l’ossessione che accompagna tutti del “cosa penseranno gli altri di me e di quello che faccio”. A impreziosire questa canzone la voce di Lisa Galantini che in una sorta di stream of consciousness ci porta a spasso tra preoccupazioni e fantasie.

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Le luci delle case

(testo e musica: M.P. Giua)

vedi come sono belle le luci delle case
quando la sera si decide a profumare le strade
vedi come sono belle le parole che non spreco
mentre ti guardo e ti chiedo un bacio

Una ballata che cresce parola per parola, nota per nota, come il sentimento che racconta, come le domande che porta: esplode in un ritornello che chiede all’altro di riconoscere qualcosa che c’è, un’evidenza, qualcosa di cui prendere atto. E per far questo la musica vira verso gli anni ’70, rubando il sapore al rock dei Pink Floyd quasi ad autorizzarsi di poter dire qualcosa perché già qualcun altro ha avuto il coraggio di dirlo.

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Aprile

(testo e musica: M.P. Giua)

ma com’è bello sdraiarsi di pioggia nel caldo di aprile
i piedi in aria di corsa facendo finta che la strega è riapparsa
ma com’è bella la vita che cambia e ti fa sobbalzare
e spaventa, poi invece c’è il sole

Aprile è come un piccolo affresco a se stante, in cui il Brasile si fa prepotente per poi sposarsi con la melodia più larga del ritornello. Il pianoforte di Paolo Silvestri, il violoncello di Jaques Morelenbaum si mischiano ai contrappunti delle chitarre classiche, in un’armonia complessa e rimbalzante come un temporale primaverile, con tutta la gioia di un bambino che corre e sogna, s’inciampa e ride.

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Macchina improbabile

(testo: M.P. Giua; musica: M.P. Giua, S. Della Casa)

siamo sognatori e ci teniamo dentro agli occhi
e non sappiamo come andrà non sappiamo come andrà
siamo sognatori e ci vestiamo con le stelle
da qualche parte si arriverà da qualche parte si arriverà

Un pezzo quasi punk, sebbene le armonie dissonanti dei cori sembrino portare fuori strada. Ma la canzone parla proprio di questo, dell’andare fuori strada, degli incidenti di percorso in cui alle volte si incappa per inseguire un sogno, per cercare qualcosa, credere ancora in qualcosa, sulla falsa riga di Thelma e Louise per potersi vestire con le stelle.

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Tutta l’aria che ci vuole

(testo: M.P. Giua, G. Martinelli; musica: M.P. Giua)

ho imparato lentamente
a sentire le parole
e lentamente ho respirato
tutta l’aria che ci vuole

Criptica, con un’insistente domanda che ricorre per tutta la durata del pezzo: “che cos’è?”, la canzone che forse più si interroga sul senso, sul perché, sul cercare, sulla vita.
Gli strumenti e la voce si rincorrono in contrappunti sospesi tra il barocco e il progress per allargarsi e prendere tutta l’aria che ci vuole nel ritornello, per riprendere il fiato necessario ad imparare a sentire le parole.

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Feng Shui

(testo: M.P. Giua, G. Martinelli; musica M.P. Giua)

dimmi scusa non mi trovi più simpatica di prima
faccio corsi di pilates, ayurvedica, autostima
l’altro giorno son passata e c’era pure la Giovanna
te ne parlo se hai bisogno, sempre meglio di una canna

Fuori dal coro, tra cantato e recitato, con la straordinaria partecipazione di Carla Signoris, “feng shui” è la canzone più divertente e assurda del disco: un’escalation quasi orrorifica che ritrae le nevrosi del nostro tempo, luoghi comuni, personaggi femminili che hanno perso il loro centro per diventare maschere, tòpoi di una società impazzita.

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Argilla

(testo: M.P. Giua, Zibba; musica: M.P. Giua, E. Munda)

potresti abitarmi
come una notte vestirmi
tu lasciami soltanto il tempo che stanca
la paura che resti una pagina bianca

Una canzone potente e drammatica, in cui il violoncello di Morelenbaum cuce a mano parole, frasi, silenzi. Cinematografica e quindi passibile di diversi livelli di lettura, in realtà parla di una storia di outing, e del dramma che spesso accompagna l’emergere di qualunque verità, taciuta spesso per paura, o per il chiacchiericcio minaccioso e vuoto dei ben pensanti. Una canzone che vorrebbe prendersi cura del dolore e della difficoltà di chi ama e vive con verità.

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Non abbastanza

(testo: M.P. Giua, C. Fava, G. Martinelli; musica: M.P. Giua)

no, non brucia abbastanza la notte che avanza
per coprire la nostra incostanza
no, non brucia abbastanza la nostra ferita
per coprire la nostra distanza, infinita

La canzone più incazzata del disco, quasi parlata e subito dopo urlata, parla di quando non è più possibile tornare indietro, quando il senso ormai è perduto, quando le parole diventano chiodi, e l’arroganza prende il posto di qualunque buon senso.
Ci sono storie che capitolano così, che forse poi, viene da pensare che di amore non ce n’era poi così tanto.

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Col naso all’insù

(testo e musica: M.P. Giua)

perché bisogna poter stare col naso all’insù
senza pensare di non capire niente
stare col naso all’insù
poter pensare di non capire niente
che alla fine poi
non è così importante

Struggente, di quella struggimento che si prova da bambini quando non si viene presi sul serio. Struggente di quella capacità che solo hanno i bambini di guardare le cose e farle nuove, come Paolo Silvestri riesce a farci ricordare e rivivere con la sua introduzione di pianoforte.
Una canzone d’amore che fa i conti con la forma dell’altro, che si imprime nel corpo come una memoria, e del sapersi riappropriare del proprio tempo necessario a fare un posto nuovo per se stessi e per chi si ama.

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Più lontano di così

(testo: M.P. Giua, Pacifico, Zibba; musica: M.P. Giua, Zibba)

tu dove vai a dimenticarti del mio nome
io da qui posso solo pensarti più forte
e sbaglierei tutte le volte perché è impossibile così
più lontano di così

Quasi disperata, parte sospesa in un’atmosfera alla Sigur Rós, e cresce lentamente per esplodere soltanto alla fine. Un pianto, una domanda, una lettera d’amore senza risposta.

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Senza dire

(testo: M.P. Giua, Zibba; musica: M.P. Giua)

sapessimo inventare un’altra storia
e costruire un posto che racconti la fortuna
dove tutto questo prendersi e trovarsi
abbia stelle dentro casa

Chiude così il disco, con una canzone chitarra e voci, con pochissime note di violoncello, quasi a richiamarci a come tutto è cominciato, con “Uragano”.
Una canzone che vorrebbe rinominare le cose, trovare nuove parole nel silenzio, dire senza dover dire.

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